Storie. Con Dio dentro – Mt 14,22-33

Sab 08 Agosto 2020

Le tre letture bibliche ci raccontano storie di vita. Con Dio dentro.

Nella prima storia di vita c’è un profeta, Elia, inizialmente un po’ talebano e un po’ Grande Inquisitore. Aveva lanciato una sfida ad un gruppo religioso del dio Baal. Elia vince la magica sfida e sgozza di sua mano 450 seguaci di Baal. Fuggendo dalla regina Gezabele che, per vendetta, ne vuole la morte, ripete l’itinerario di Israele e giunge sull’Oreb.

Nella solitudine della montagna, il profeta cerca il suo Dio nel vento impetuoso, nel fuoco e nel terremoto, cioè secondo schemi personali e tradizionali. Ma Dio è sorprendente e appare nel sussurro di un “silenzio sottile”. Elia, velandosi in volto, conosce che il Signore è presenza dolce e paziente, fino a rischiare di essere cercato nelle profondità del silenzio, giù negli abissi del mare dove il vento impetuoso non riesce ad inquietare una sola molecola d’acqua.

Un po’ diversa è la seconda storia di vita, quella di Paolo che ha coscienza di essere rimasto giudeo e se ne vanta e sente con passione il problema dei suoi consanguinei e correligionari che non hanno accolto Gesù come Messia e Salvatore. Il grande dolore che ha nel cuore lo porta a dichiararsi disponibile ad essere separato (“anatema”) da Cristo pur di salvare Israele. Un’esagerazione passionale.

La terza storia di vita è la storia di discepoli di allora e di Pietro, ma di fatto storia dei nostri sghembi itinerari pasquali e battesimali. Noi cristiani non camminiamo fuori dal tempo, lontani dalla storia.

La storia quotidiana, nella sua concretezza scivolosa e liquida, è il luogo privilegiato nel quale il Signore manifesta i segni del suo amore per ciascuno di noi. Per il credente è importante, allora, ascoltare la Parola (“Gesù disse…”) lasciandosi interpellare dal “mare agitato” della storia, della propria vita, della Chiesa. È dentro i sussulti di questa bufera che si incontra Dio come una presenza lieve, una mano tesa (“Gesù tese la mano, lo afferrò”), capace di farsi accogliere e di cambiare il corso degli eventi.

Per poterlo riconoscere in ogni avvenimento dell’esistenza occorre una fede “non piccola” (“gli disse: «Uomo di piccola fede, perché hai dubitato?»”), occorre ritrovare dentro di noi quei segni vivi della presenza di Dio che ci portano a coniugare il vangelo con l’esperienza concreta della vita, l’azione di Dio con l’impegno umano. Se la fede permeasse la mia vita mi sarebbe possibile affrontare serenamente ogni difficoltà. Credere non comporta tirare “i remi in barca”, come spesso mi sento tentato di fare nel tempo della prova, né affidare la propria sopravvivenza alle logiche vincenti e talvolta fondamentaliste, ma abbandonare al Signore quella “povera barca” agitata che è la nostra persona, la nostra Chiesa.

(don Augusto Fontana)

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