Don Alberto, YouTube e la lezione per tutti noi
«Uno dei segreti del mio successo è che non tratto mai gli altri come esseri inferiori». L’autore della frase è Tim Denning, un australiano che ha ammesso di avere guadagnato scrivendo ebook e articoli sulla piattaforma Medium. Anche in Italia abbiamo persone come Marco Montemagno, Rudy Bandiera e Riccardo Scandellari che sono diventate ricche dispensando consigli via YouTube. Gente che magari non finisce sui giornali ma che vanta seguiti enormi. Ognuno ha il suo stile. Ma ci sono alcuni tratti comuni a tutti. Il primo è che, apparentemente, non si prendono troppo sul serio. Il secondo è che non fanno i guru ma dispensano consigli con l’aria di chi dice: «Io ho fatto così e con me ha funzionato. Potresti provarci anche tu». Il terzo è che non sono irraggiungibili ma alla portata di tutti. Ci piaccia o meno sono loro i nuovi Piero Angela della Rete. I divulgatori del sapere digitale. Ogni volta che guardo un loro video o leggo un loro post, mi torna in testa sempre la solita domanda: abbiamo figure così nel mondo cattolico? Mi guardo intorno e mi rendo conto che l’unica novità significativa emersa durante il «lockdown» è quella di don Alberto Ravagnani. Da quando ha aperto il suo canale, il 9 marzo scorso, ha raccolto quasi 3 milioni di visualizzazioni con soli 29 video. Lo stile di don Alberto è grintoso, gioioso, moderno, perfino a volte un po’ sopra le righe (fa le facce, ride sguiatamente, usa frasi anche un po’ forti). Ma proprio per questo piace tantissimo. Di sacerdoti bravissimi a scrivere e a parlare ce ne sono tanti (e ovviamente sono preziosi), ma pochissimi riescono come don Alberto a raccogliere numeri così elevati nel digitale, dove le immagini e i suoni stanno avendo uno spazio sempre più importante rispetto alla parola scritta. Uno dei motivi del successo di don Alberto è legato anche al fatto che si occupa di argomenti partendo sempre da una domanda semplice, fin «banale», ma proprio per questo capace di toccare la vita di tanti. Basta leggere i titoli dei suoi video per rendersene conto: «Cosa fa lo Spirito Santo (è davvero così importante?)», «Arrivare a Dio: qual è la via migliore?», «La Chiesa è troppo rigida? Che senso hanno regole, dogmi e comandamenti»; «Come sentire Dio?», «Come trovare la propria vocazione» oppure «Scienza e fede: chi ha ragione?». Il top l’ha raccolto con il video sul valore della preghiera, intitolato «A cosa serve pregare (non è una perdita di tempo!)». E subito dopo con «Perché pregare il Rosario (non è roba da vecchi)» che ha raccolto 138 mila 217 visualizzazioni, seguito da «Perché avere fede non è da sfigati» con 122mila 639. Ovvio, non tutti possono e devono essere come lui. E ad alcuni il suo stile non piacerà. Ma il suo successo dovrebbe farci riflettere su alcuni punti del nostro modo di comunicare la fede nel digitale. Innanzitutto sul fatto che per arrivare davvero agli altri bisogna mettersi al loro posto, provare a farsi le loro domande per capire cosa interessa a quella che con una punta di disprezzo a volte chiamiamo «la gente». Perché l’alternativa c’è, ed è quella di continuare ad andare avanti come se nulla stesse cambiando. Ma così facendo ci confineremo in nicchie sempre più piccole, come i numeri (visto che nel digitale tutto è misurabile) spesso ci stanno già dimostrando.
Link di don Alberto: https://www.youtube.com/channel/UCf2G9izxBUHuhadtiuwSrtA/featured
(Gigio Rancilio – Avvenire 06/06/2020)
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